Un conflitto costituzionale silente: Corte di giustizia e deferenza verso il legislatore europeo nella più recente giurisprudenza sulla cittadinanza e sul riconoscimento di prestazioni sociali

Dottore di ricerca in Diritto costituzionale – Università di Ferrara, Ricercatore -Area Science Park – Trieste

Abstract

Il presente contributo trae spunto da alcune recenti sentenze della Corte di giustizia in materia di libera circolazione dei cittadini europei e di godimento di prestazioni sociali, i casi Rendón Marín e Dansk Industri del 2016. La dimensione costituzionale che questa giurisprudenza chiama in causa è analizzata attraverso un particolare punto di vista, il rapporto tra norme primarie, intese come alcune disposizioni scritte dei Trattati, della Carta europea dei diritti fondamentali e alcuni principi generali non scritti, e norme secondarie, regolamenti e direttive. Nei primi anni duemila, la cittadinanza europea è cresciuta in via pretoria attraverso l’ampio ricorso alla diretta applicazione dei principi di rango primario, dando soluzione a fattispecie concrete che fuoriuscivano dai requisiti previsti dalla normazione derivata. Ne è risultata l’estensione di norme di protezione sociale a cittadini non economicamente attivi e una forte spinta all’integrazione economica, sociale e culturale. Nella più recente giurisprudenza, invece, la Corte di giustizia assegna centralità alla legislazione derivata, mentre l’utilizzo del parametro primario risulta recessivo. Quando sono in gioco prestazioni accessorie al rapporto di lavoro garantite da direttive, inoltre, la Corte di giustizia invita i giudici nazionali ad utilizzare nel modo più ampio possibile la tecnica dell’interpretazione conforme del diritto nazionale, ma è molto cauta nel ritenere applicabile una corrispondente norma primaria, sia essa contenuta nella Carta europea dei diritti o espressa in forma di principio generale non scritto. La tecnica dell’interpretazione conforme pare assumere così la funzione di protezione della legislazione europea derivata sprovvista di effetti diretti orizzontali, facendo da scudo alla domanda di diretta applicazione di norme primarie di principio formulata dai giudici comuni. Questi orientamenti giurisprudenziali paiono accomunati dalla centralità riconosciuta dalla Corte di giustizia alla legislazione derivata. Se ci si sposta dal rapporto tra fonti del diritto al rapporto tra poteri, ne risulta una forma di deferenza della Corte di giustizia verso gli Stati, o meglio i Governi nazionali, nella veste di legislatore europeo. Si assiste così ad una forma di rispetto per il compromesso politico espresso nella legislazione derivata, mentre la Corte si astiene dall’offrire tutele ulteriori rispetto a quelle espressamente previste. In un periodo di forte crisi dell’integrazione europea, la stessa giurisprudenza che aveva contribuito alla creazione di una dimensione sociale europea arretra. Il self restraint della Corte di giustizia può giustificarsi nella volontà del giudice di non forzare la mano, per non sostituirsi a scelte che si ritiene rimesse alle istituzioni politiche e non aggravare ancora di più le differenti visioni degli Stati sul futuro dell’integrazione europea.

This article considers the recent ECJ’s case law on the European citizenship and social benefits. The case law trends are here analysed from a constitutional point of view, which relies on the relationship between EU primary and secondary law. Concerning primary law, we took into consideration written norms of the Treaties on citizenship and the free movement of persons, some written norms of the EU Charter of fundamental rights, as well as some non-written general principles of EU law. At the beginning of 2000s, the case law on EU citizenship extended rights of non-active people beyond the conditions provided by secondary legislation. Indeed, undertaking judicial review of Member States acts, the Court embarked upon an implicit judicial review of EU legislation. Through an intrusive application of the principle of proportionality, the ECJ set aside the conditions imposed by the Community legislature, i.e. the requirements of sufficient resources and sickness insurance. This approach was criticized by some commentators, because the Court would have rewritten rules laid down in secondary legislation, interpreting those rules against their wording. The recent case law shows a new trend. While national judges ask for the direct application of primary norms, as art. 20 TFEU, the Court strictly relies on secondary legislation requirements for the free movement rights. In the same way, dealing with directives concerning social benefits depending on national labour law, the Court refuses to directly apply the corresponding primary general principles of EU law, suggesting judges to give an interpretation of national law in conformity with the directives. In a constitutional dimension, those trends highlight the respect of the Court for the political consensus embodied into secondary legislation, i.e. the respect for the Governments acting as EU legislator. At the end, in the current period facing the crisis of European integration, it seems that the Court refuses to interfere with discretionary choices by EU legislature in complex economic and social policy field.

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