1) “Chi si ricorda più del massacro degli armeni?”, chiedeva Hitler in un discorso pubblico del 1939, poco prima di invadere la Polonia. A parte i diretti interessati -gli armeni sopravvissuti, appunto- quell’eccidio perpetrato dai turchi tra il 1915 e il 1916 doveva essere ben presente alla memoria degli ebrei rinchiusi nel ghetto di Varsavia, se è vero che I quaranta giorni del Mussa Dagh erauno dei libri più letti in quel luogo. “Tragica profezia del futuro imminente”, il romanzo di Franz Werfel sul massacro degli armeni veniva letto come un precedente, entro i cui schemi reinserire non solo l’evento che gli abitanti del Ghetto stavano vivendo, ma anche l’oblio che al genocidio armeno aveva fatto seguito, come ha ricordato Anna Foa in un bel libro curato da Francesco Berti e Fulvio Cortese (Genocidi a confronto: una riflessione sull’unicità della Shoah, p. 55 ss., in Il crimine dei crimini. Stermini di massa nel Novecento, Franco Angeli, 2008). Quella lettura implicava un confronto su due livelli: quello della storia e quello della memoria, pur in un momento in cui la categoria stessa di “genocidio” non aveva ancora visto la luce (è nel 1948 che sarà formulata nel contesto internazionale) e la diatriba sulla “unicità” della Shoah non era ancora esplosa.