1. – La nostra rivista, sin dal suo nascere, ha indicato una sua precisa ragione d’esistenza. S’è proposta come un luogo di riflessione critico, non neutrale, presupponendo la possibilità di far valere uno specifico “punto di vista” della scienza. Quel particolare punto di vista che ha dato origine al costituzionalismo moderno continentale e che nell’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 ha trovato la sua prima definizione normativa. Dopo di allora la storia ha avuto il suo corso e diverse sono state le interpretazioni possibili del ruolo e del valore della costituzione e del suo diritto. Il gruppo che ha fondato e ha poi lavorato attorno a questa rivista ha inteso declinarne in senso rigoroso la forza normativa, nella convinzione che si potesse parlare di un costituzionalismo democratico e non anomico, che si potesse preservare la natura precettiva della costituzione. Ben consapevoli della trasformazioni del tempo, del venir meno dei più rassicuranti spazi chiusi delle nazioni, del declinare di alcuni soggetti storici che avevano contribuito in modo determinante a dare corpo al progetto rivoluzionario del costituzionalismo democratico. Un progetto mai appieno realizzato – neppure nel mitizzato trentennio d’oro – ma sempre in forte tensione verso un futuro di ampliamento della sfera dei diritti e limitazione dei poteri, il costituzionalismo moderno ha assegnato un compito alla scienza, a quella giuridica in particolare: fornire la ragioni, le idee, le possibili interpretazioni che devono sostenere le norme assiologicamente orientate e superiori in grado della costituzione. Un testo, quello costituzionale, che – come ci ha spiegato Vezio Crisafulli – deve essere inteso come norma, ma anche come documento storico-politico. In questo senso per i costituzionalisti diventa necessario “prendere partito”. Porsi dalla parte della costituzione non neutrale. All’interno di un movimento storico che assume la garanzia dei diritti e la divisione dei poteri come un dato a cui tutti (la politica, l’economia, i poteri, i soggetti privati) devono sottostare. Quante volte su questa rivista s’è invocata la superiorità normativa della costituzione come parametro di giudizio? Proprio perché noi non crediamo che il positivismo giuridico si possa ridurre alla semplice accettazione di ogni norma, di ogni possibile interpretazione, di ogni esito che il potere vuole imporre. Non è vero per il costituzionalista che l’auctoritas sia sufficiente per fare una legge. Ad essa deve quantomeno affiancarsi il principio che la legittima: un’auctoritas senza costituzione viene privata di ogni fondamento storico e politico, e finisce per reggersi solo sul carisma del capo o sul potere di imperium, inteso come mera facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non possono sottrarsi. Per il costituzionalista – noi riteniamo – non è possibile accettare un potere non legittimato, un potere che non sia limitato e sostenuto dalla costituzione. Ma quale costituzione? Possono le costituzioni veicolare qualunque contenuto normativo? Anche il più dispotico?