Libertà della scienza come premessa della libertà di insegnamento *

1. È dato per scontato – negli anni in cui viviamo – che la “libertà del sapere” costituisca il necessario presupposto perché si possa vivere una esperienza culturale edificante: e si possa poi trasmettere le nostre acquisizioni, ponendo coloro che ci leggono e ci ascoltano non solo in condizione di apprendere, e di far proprio ciò che è consegnato alla loro attenzione e comprensione, sí anche in condizione di ripensare criticamente quanto appreso e spingersi oltre verso orizzonti più spazianti. Ciò diamo per pacifico. Ce lo garantisce la Costituzione democratica: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». E di conforto [per chi riponga la sua fede nella religione dominante] è la Costituzione pastorale Gaudium et Spes là dove attesta essere «proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura». In questo stato d’animo – forti di questa convinzione – non sempre ci viene da riflettere su quali e quante sorde inibizioni [di matrice religiosa, politica, ideologica] abbiano nei secoli annebbiato la lucidità penetrativa di generazioni e generazioni di uomini di studio. Né sempre ci viene da riflettere sugli infiniti impedimenti autoritativi che quegli uomini hanno dovuto affrontare, e hanno saputo superare: con personale abnegazione, e personale rischio. Manca però anche di procedere la nostra albagia intellettualistica a una disamina sufficientemente meditata di quanto una sequela di remore mentali seguiti tuttora ad insidiare e a contenere la nostra effettiva libertà in fatto di cimento intellettivo. Ciò sia che ci si volga [secondo la formola d’un tempo] alla «natura che è fuori di noi», sia che ci volga alla «natura che è dentro di noi»; sia che ci si dedichi alle artes dette un tempo “mechanicae”, sia che ci si dedichi a quelle che erano dette “liberales”. Guardiamo alla nostra libertà [nel campo scientifico come in tutti gli altri settori del sapere] come a un qualcosa di acquisito una volta per tutte: come a conquista non più controvertibile. Col che però dimentichiamo che – lungi dal poter considerarla come parte d’un patrimonio irreversibile – quella preziosa libertà [quali appunto i campi in cui s’intenda spenderla] è conquista di civiltà che va difesa giorno dopo giorno: senza che una improvvida inerzia intellettiva venga a far spazio a questi o quei fattori d’altro segno tendenti per l’un o l’altro verso a limitare la capacità dell’uomo di spendere a sua misura i suoi talenti.

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