Si pone oggi un problema di crisi della superiore legalità costituzionale?
Non una crisi della legalità tout-court, ma una crisi di ciò che si pone al vertice degli ordinamenti: la superiore legalità, quella costituzionale.
La domanda è impegnativa e grave per il giurista, per il costituzionalista in specie, ma forse lo è anche per le sorti future della democrazia e le forme che essa in concreto andrà assumendo. Tanto più se la domanda posta dovesse riguardare non solo il nostro Paese, ma anche altri ordinamenti nazionali, finendo per coinvolgere l’assetto dei rapporti giuridici anche a livello sovranazionale.
Una domanda che non dovrebbe essere posta se non in casi estremi, alla vigilia di trasformazioni “rivoluzionarie” o di tentativi insurrezionali. E non siamo in situazioni di questo tipo.
Ma allora perché si sente tanto parlare di crisi del sistema costituzionale e della legittimità che esso esprime? Perché molti di noi avvertono come la domanda – seppure radicale – non appare del tutto infondata?
Una prima risposta può essere la seguente: in tempi di “crisi permanenti e prolungate” (della politica, degli Stati, delle sovranità, dei processi di trasformazione degli ordinamenti, del diritto, e via continuando), nell’era dell’incertezza, anche le questioni supreme perdono di intensità: si sdrammatizzano. Diventano questioni da amministrare più che da risolvere (risale agli inizi degli anni ’70 la teoria del management delle crisi).
Così, può ipotizzarsi che la legalità costituzionale sia attualmente in crisi, non perché esplicitamente e dichiaratamente contestata, bensì perché ripetutamente assoggettata a strappi costituzionali operati in vie di fatto. “Strappi”, non “rotture” o “sospensioni” della costituzione (figure, quest’ultime, che, sia per la loro eccezionalità, sia per il fatto di essere poste in essere consapevolmente, possono servire a superare le crisi, ponendosi al limite come strumenti estremi di difesa della costituzione vigente). “Strappi”, magari non particolarmente gravi, comunque nessuno in grado di compromettere la costituzione nella sua tenuta complessiva, ma che non per questo possono essere sottovalutati. Il rischio maggiore – se l’ipotesi dovesse ritenersi fondata – è che l’insieme degli strappi definisca un processo complessivo di lenta interna erosione della legalità costituzionale, la cui effettiva portata potrebbe diventare chiaramente percepibile solo al termine del processo, quando sarebbe troppo tardi e difficile porvi rimedio. Trasformando, a quel punto rapidamente, la crisi di legalità in una crisi di legittimità dell’ordinamento costituzionale vigente.
La crisi della superiore legalità costituzionale da noi paventata, e su cui invitiamo a riflettere, è dunque essenzialmente quella “nascosta”, non così drammatica come quella che assume le vesti della crisi esplicita e tesa al superamento dell’ordinamento vigente. Non però una crisi meno preoccupante, inducendo un indebolimento complessivo e sostanziale della costituzione e della sua forza normativa. Certamente più sfuggente delle crisi “classiche”: essendo nascosta appare più difficile da individuare. Turbative dell’ordine costituzionale che non si pongono esplicitamente contro la costituzione, non hanno dunque in sé la capacità di definire un “nuovo” ordine costituito, creano solo spaccature che indeboliscono il tessuto costituzionale vigente. Un indebolimento del sistema costituzionale complessivo provocato da diverse “piccole” lacerazioni, nessuna – separatamente considerate – dichiaratamente eversive dell’ordine costituito, e che pertanto rischiano di essere considerate tutte comunque riassorbibili e in ogni caso nessuna di carattere traumatico. Una crisi composta e composita, perché definita da tessere diverse ma che finiscono per comporre un mosaico unitario: un disegno la cui trama non risulta immediatamente decifrabile nelle sue singole parti, ma solo nell’insieme.
Può una crisi del tipo appena descritto essere ritenuta fisiologica? Non particolarmente preoccupante dunque, soprattutto in considerazione del fatto che il nostro sistema costituzionale prevede meccanismi ad hoc preposti a risolvere le “crisi” di legittimità (recte: legalità) costituzionale: i due organi di garanzia costituzionale, infatti, servono principalmente proprio a reprimere le violazioni della legalità costituzionale. Nel caso della Corte costituzionale attraverso un’attività di controllo di tipo “giurisdizionale”, nel caso del Presidente della repubblica con un controllo di tipo “politico” (a quest’ultimo è imputato finanche il compito delicato e specifico di “reggere gli stati di crisi”, secondo quanto riteneva Esposito). Potrebbe dunque ritenersi che ad essi sia demandata la soluzione delle crisi di legalità costituzionale attuali?
In questo caso, il disagio costituzionale, che pure si avverte, potrebbe farsi risalire (solo) ad un dato storico generale: alle particolari condizioni delle società contemporanee, dallo sviluppo accelerato e dalle instabilità crescenti, tipiche dei nostri tempi. Insomma non tanto crisi, quanto ordinari processi di trasformazione che coinvolgono naturalmente anche le dinamiche costituzionali.
Non vogliamo aprioristicamente escludere questa diversa, e certamente più rassicurante, prospettiva. In fondo il nostro sistema costituzionale già in passato ha mostrato un insperato vigore e una speciale solidità. Basti pensare alla “resistenza” vittoriosa della nostra costituzione nei confronti dell’assalto delle diverse Commissioni bicamerali istituite per stravolgerne la seconda parte e sfigurarla nel suo insieme. Procedimenti di trasformazione del sistema costituzionale certamente fuori dall’ordinario, il cui fallimento è stato determinato da molteplici ragioni legate alla debolezza della politica, ma anche – non può negarsi – da una insospettata forza della costituzione scritta. Dunque non sarebbe giusto drammatizzare oltre modo la crisi costituzionale. In ogni caso sarebbe però necessario capire la dimensione e il segno delle trasformazioni in atto che coinvolgono il piano dei rapporti costituzionali. Prestando comunque una particolare attenzione ai fenomeni lesivi della legalità costituzionale: non fosse altro che per non lasciare soli (e dunque indebolire) i due organi a cui la costituzione attribuisce la funzione di garanti dell’ordinamento costituzionale.
In entrambe le ipotesi prospettate (crisi della superiore legalità determinata da forzature costituzionali ripetute ovvero dalle ordinarie dinamiche sociali) si pone comunque in discussione un aspetto che a noi appare assolutamente decisivo: la capacità normativa della nostra costituzione. La capacità della costituzione, cioè, di dominare le dinamiche di trasformazione politico-sociale, e non essere invece da quest’ultime governata.
E’ apparso naturale a chi si è raccolto attorno a questa Rivista, che ha come scopo principale proprio quello di verificare la permanente validità normativa delle costituzioni, occuparsi – nella sezione Sulla teoria costituzionale – della natura della crisi costituzionale che ci attraversa. Di questa crisi dai caratteri complessi – nelle poche righe precedenti s’è cercato di indicarne solo i contorni generali – si sono individuati alcuni passaggi decisivi. Su questi si sono chiesti dei contributi relativi ad aspetti specifici, sapendo che in tal modo ne risentirà la visione d’insieme, ma ne guadagnerà la precisione dell’indagine scientifica. D’altronde – per riprendere un’immagine sopra utilizzata – se la crisi ha le sembianze di un puzzle, è dalle singole tessere che bisogna iniziare per metterla a fuoco.
Tre le “tessere” della crisi che vogliamo inizialmente considerare: 1) la rapida ed eclettica alterazione della legalità costituzionale collegata alle trasformazioni del sistema delle fonti, al fine di valutare la permanente considerazione della costituzione come lex superior: così si torna all’origine del costituzionalismo moderno, che ha posto al vertice degli ordinamenti giuridici la costituzione come fonte; 2) le vicende costituzionalmente rilevanti collegate alle forti tensioni tra giurisdizione e politica, che hanno portato a modificare le garanzie che il nostro ordinamento ha fin qui previsto nei rapporti tra giudici e soggetti politici: in tal modo vengono poste in discussione due “grandi regole” dello Stato costituzionale, da un lato lo stato di diritto, dall’altro l’autonomia e la libertà della politica; 3) la possibilità estrema, nell’ambito di una concezione che si vuole normativa, di utilizzare strumenti e categorie non positivistici al fine di preservare la superiore legalità costituzionale: è il caso del diritto “naturale” alla resistenza (ovvero alla disubbidienza) nei confronti delle massime violazioni della legalità costituzionale (l’ipotesi è stata avanzata di recente per opporsi alle decisioni “belliche” ritenute poste in insanabile contrasto con il diritto supremo della pace).
Tre domande “pesanti” che poniamo, confidando che la virtualità del mezzo (la nostra è una Rivista on the web) possa essere utile ad “alleggerire” le risposte.
Gli scritti di Paolo Carnevale, Marco Ruotolo e Teresa Serra che di seguito si pubblicano costituiscono un primo tentativo di riflessione.