I. Introduzione. La singolare sorte del processo di revisione dell’Unione
Davvero singolare la vicenda della riforma dei trattati istitutivi dell’Unione europea. Nel 2001 il Consiglio europeo di Laeken dava mandato ad una Convenzione europea di redigere il testo di un trattato di riforma, del quale dettava talune linee di fondo[1]. Il testo, adottato dalla Convenzione nel 2003, si ispirava decisamente, già dalla sua intitolazione “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa”, ad una prospettiva costituzionalista, ed era fortemente caratterizzato dall’impiego di simboli e di formule retoriche che sono normalmente associati al testo costituzionale di una entità sovrana. Con marginali modifiche, tale testo veniva quindi adottato dal Consiglio europeo del 19 luglio 2004 e firmato nell’ottobre dello stesso anno[2]. Tale trattato, che per comodità si indicherà con la formula sintetica di trattato costituzionale, veniva però respinto nel corso di referenda tenutisi in due dei Paesi fondatori della Comunità: la Francia e i Paesi bassi. Incerto sui passi da intraprendere, il Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e 17 giugno 2005 invocava un “periodo di riflessione” auspicando un dibattito sul futuro costituzionale dell’Europa tale da coinvolgere, oltre agli Stati e agli attori politici e istituzionali, anche l’opinione pubblica[3]. Alla fine di tale periodo, che non sembra aver prodotto risultati apprezzabili, il Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 dichiarava, con formula inequivoca, abbandonata la prospettiva costituzionale[4]. Una conferenza intergovernativa insolitamente rapida provvedeva quindi a redigere un trattato in gran parte ispirato al contenuto del trattato costituzionale, ma espunto dei simboli e della terminologia costituzionale. Il diritto primario dell’Unione veniva quindi distribuito in due distinti testi convenzionali: un trattato sull’Unione europea e un trattato sul funzionamento dell’Unione.