1. Introduzione.
Un discorso sul federalismo fiscale non può che partire da una chiara definizione della nozione di federalismo fiscale. Quest’ultima, inoltre, è strettamente connessa a quella di federalismo tout court, in quanto ne costituisce una condizione essenziale. Con la nozione di federalismo «si è soliti riferirsi alle forme di organizzazione degli ordinamenti politico-giuridici che si fondano sulla istituzionalizzazione della suddivisione delle funzioni e dei compiti tipici dello Stato (ordinamento) tra quest’ultimo (inteso come Stato persona) e gli altri enti territoriali»[1]. Tuttavia tale suddivisione di funzioni e compiti non è netta in quanto la distribuzione di poteri è attuata fra autorità centrali e regionali «ognuna delle quali nella propria sfera è coordinata con le altre e da esse indipendente»[2]. «La menzionata coesistenza tra indipendenza e coordinamento – vero e proprio marchio di fabbrica dello Stato federale – deve caratterizzare di sé anche le modalità di reperimento delle risorse da destinare allo Stato centrale (federazione), ai singoli Stati o Regioni e alle altre autonomie territoriali. […] Non può (…) concepirsi – è persino ovvio rilevarlo – che la suddivisione delle funzioni tra i vari livelli di governo coesista con una situazione di dipendenza finanziaria (derivazione) della periferia dal centro, giacché, se così fosse, lo Stato (persona) potrebbe in ogni momento influire sul concreto esercizio di quelle facoltà, che pure il sistema devolve in esclusiva agli enti territoriali»[3].