Nel 1993 Samuel P. Huntington pubblicava il suo saggio The clash of civilizations?, ripreso nel libro del 1996 The clash of civilizations and the remaking of World Order. Non saprei dire fino a che punto da noi sia stato meditato in entrambi i testi il pensiero di Huntington oppure frettolosamente esorcizzato, onde allontanarne la visione dello scontro tra le otto grandi civiltà oggi esistenti nel pianeta, l’occidentale, la confuciana, la giapponese, l’islamica, l’indù, la slavo-ortodossa, la latino-americana, l’africana. Certo è che nella descrizione dello stato del mondo, che il professore di Harvard traccia, è possibile misurare la marginalità e la arretratezza della rappresentazione corrente in Italia. Tenaci residui dei conflitti ideologici ottonovecenteschi evocano come attuali anacronistiche contrapposizioni di liberalismo e comunismo, di laicità e di religione. Dall’11 settembre 2001 si svolgono attorno a noi processi giganteschi di mutamento degli equilibri geopolitici comprensibili con categorie che non sono più quelle della tradizione europea. Lo Stato-nazione è una costruzione europea. Altrove lo Stato è una sovrastruttura di dominio su etnie, tribù, clan, popoli diversi. I processi di evoluzione politica e sociale dello Stato-nazione, dallo Stato di diritto allo Stato sociale, alla democrazia pluralista, dalla società omogenea alla società multiculturale, non si sono verificati in altri continenti e non nelle stesse forme. Quel che per l’europeo è il denominatore nazionale, per gli uomini di altre civiltà è l’appartenenza ad una cultura e soprattutto ad una religione. La fine delle utopie politiche degli europei ha svelato che nel resto del mondo sono le religioni a fare da endoscheletro degli ordinamenti sociali e politici e a distinguere le civiltà nei loro contatti e conflitti all’interno degli Stati e tra gli Stati. La centralità della religione si era perduta nella coscienza europea degli ultimi due secoli. La secolarizzazione indotta dal pensiero scientifico e filosofico, pervadendo il costume sociale e il diritto, ha dato l’illusione che ogni aspetto della vita potesse essere abbracciato e sorretto da una morale laica. Ma quale morale laica può raggiungere ogni strato sociale, l’intellettuale e l’incolto, parlare con una voce interiore, regolare oltre i comportamenti le intenzioni, punire ma anche perdonare, insegnare ad amare chi ci è nemico e ci odia, a beneficare il prossimo fino al sacrificio della propria vita? Anche la morale derivata dal Vangelo cristiano che ha prodotto valori civili, patrimonio di tutti i popoli i quali hanno raggiunto una più degna condizione umana, non può sostituire la forza profetica di una religione che oltrepassa il limite della temporalità e trascende ogni concezione puramente terrena dell’esistenza.