Il Trattato che istituisce la Costituzione dell’Unione europea*


Sono grato a Giuliano Amato perché ci ha aiutato a capire il processo nel quale questa Costituzione si pone, e proprio così a chiarire meglio le critiche che si possono fare. Credo che la questione sia questa: senza dubbio c’è un cammino anche costituzionale dell’Europa, c’è una lunga storia costituzionale che comincia già nel momento delle origini; ma appunto questo era un processo aperto, un processo in corso, nel quale sempre di più quella che era un’unione con finalità prevalentemente economiche e di mercato, diventava un’unione di cittadini, un’unione di popoli; ed ecco che a un certo punto questo processo viene per così dire cristallizzato, fissato e risolto in una Costituzione. Il problema mi pare sia esattamente questo: noi qui non stiamo parlando di come sia bello e giusto che questo processo ci sia, né qui si tratta di fare un investimento di fiducia sul fatto che in futuro questa Europa sempre più si arricchirà di contenuti costituzionalmente validi, noi qui stiamo giudicando un documento, che tra l’altro sarà presentato entro un breve tempo a un giudizio politico dei Parlamenti e in molti casi dei cittadini europei. I cittadini e i Parlamenti si devono pronunciare su un documento che non è un trattato come gli altri, ma che da questo momento viene chiamato la Costituzione europea e questa è appunto la questione su cui si apre la divergenza perché questa “Costituzione” – non so se lo posso dire come giurista o come non giurista – non è una Costituzione. Non è una Costituzione Amato ci ha detto che sì, per metà e una costituzione; le prime due parti in realtà sono una costituzione ma le altre parti non sono una costituzione, sono un enchiridion, sono un massimario di norme di funzionamento del sistema economico, del sistema produttivo, del sistema sociale; in sostanza si tratta di un Testo Unico in cui si raccolgono, con gli aggiustamenti del caso, le norme contenute nei trattati precedenti. Ma il problema è precisamente questo. Il problema è che vengono elevati a rango costituzionale contenuti che costituzionali non sono e non devono essere; e credo che domani non si possa dire: questo appartiene alla prima parte e quindi è Costituzione, quest’altro appartiene alle altre parti e quindi non lo è. Si tratta di norme che non meritano di essere costituzionali, perché per esserlo dovrebbero appartenere non tanto in modo formale a un documento che si pone come costituzionale, ma dovrebbero appartenere all’orizzonte e alla storia del costituzionalismo. Non tutte le costituzioni sono costituzioni; una costituzione non è tale solo perché ha un rango superiore nella gerarchia delle norme, è tale perché appartiene alla storia del costituzionalismo, cioè a quella grande vicenda per la quale si è passati da situazioni illiberali e da regimi di poteri assoluti, a regimi di libertà e di diritti proclamati, riconosciuti e garantiti, di valori fondamentali e di principi di convivenza non revocabili neanche dalle maggioranze. Ebbene il fatto che invece vengano elevate a rango costituzionale delle norme che tali non sono, rappresenta una rottura, un vulnus grave nella storia del costituzionalismo e nella storia della civiltà del diritto in Europa. Il documento che abbiamo di fronte sembra appartenere in effetti più alla storia dei trattati che alla storia del costituzionalismo; ma nel momento in cui questo lungo compendio di norme di trattati precedenti diventa una costituzione, a questo punto per la prima volta si dà il caso che non è una comunità politica, una comunità di cittadini, un popolo che si fa ordinamento, che si fa Stato attraverso una costituzione, ma è un regime economico che diventa ordinamento, che diventa Stato; chiamiamolo pure con il suo nome: per la prima volta non è una comunità politica che diventa ordinamento, è il capitalismo che diventa ordinamento, è il capitalismo che assume rango costituzionale, che assurge a un rango normativo superiore a quello di ogni altra norma; ed è quel capitalismo non mitigato che oggi conosciamo, che assume come sua ideologia i principi supremi del libero mercato, il profitto, la competitività, la concorrenza; questi parametri della vita economica vengono per così dire assolutizzati e finiscono per mettere fuori legge o almeno fuori della Costituzione una intera gamma di possibilità, di idee, di progetti, di prospettive politiche diverse. Perché nel momento in cui il capitalismo diventa Costituzione – e diventa questa Costituzione: poi potrà evolversi, potrà cambiare, siamo d’accordo che si tratta di un processo ma intanto è questa che viene definita come la Costituzione dell’Europa – allora tutte le prospettive che vanno sotto il nome di socialismo non solo diventano politicamente difficili nel clima di oggi, ma diventano addirittura anticostituzionali. L’art. 3 della Costituzione italiana che postula l’intervento della mano pubblica per realizzare l’eguaglianza, per rimuovere gli ostacoli che sul piano di fatto, economico e sociale, impediscono lo sviluppo della persona e la libertà dei cittadini, diventa sostanzialmente contraddittorio con la Costituzione europea. Qualunque compromesso keynesiano, socialdemocratico, diventa per cosi dire incompatibile con una Costituzione in cui le regole economiche sono fissate in modo tale per cui diventa un obbligo costituzionale far cadere l’Alitalia se non ce la fa come impresa e magari diventa una forzatura costituzionale, perché contrastante con le regole dell’economicità e del mercato dei viaggiatori, fare il secondo binario sulla Verona Bologna; cioè tutto quello che è il compito della politica per correggere, modificare, intervenire su quelli che sono i risultati del libero svolgimento delle forze economiche secondo questo ideale del capitalismo puro che qui viene recepito, tutto questo, attraverso questo atto di volontà politica, questo atto di normazione giuridica di livello supremo viene a essere delegittimato. A questo punto, con questa costituzione, ha ragione Rutelli quando dice che parole come eguaglianza, egualitarismo, come socialdemocrazia o democrazia sociale devono essere abbandonate; ma se pure non sono abbandonate in ogni caso non possono essere politicamente agite perché se quella che potrebbe pure ammettersi come scelta politica contingente in questa fase di costruzione dell’Europa economica, diventa costituzione, diventa norma superiore, rende politicamente non agibile ciò che vi contrasta. Io penso che il problema gravissimo stia proprio nel fatto che ci è stato segnalato da Amato, nel fatto cioè che si è dovuto accettare l’unione tra queste due parti del testo. Ha ragione Amato quando dice che questa scelta probabilmente è stata fatta per ragioni di praticità, di più spedite procedure parlamentari, per far votare insieme tutti gli articoli e risparmiarsi giudizi differenziati sull’una e sull’altra parte del testo. Ma questo è stato il suicidio della costituzione, perché se la Costituzione sarà respinta, non lo sarà tanto per quanto di non sufficientemente avanzato è scritto nella prima parte propriamente costituzionale, ma sarà respinta proprio perché non si può ammettere che un compendio di norme di trattati che hanno la portata di scelte politiche contingenti e discutibilissime, destinate a essere eventualmente superate in uno sviluppo ulteriore della vita politica economica e sociale, sia invece garantito da copertura costituzionale, tra l’altro di difficilissima modificabilità data l’estrema difficoltà del meccanismo di revisione. La critica a questo documento non è pertanto una critica che nega i progressi che esso comporta rispetto a tutta la storia europea, ma è una critica proprio al fatto che si voglia cristallizzare questa fase e attribuire ad essa una rigidità costituzionale; questa critica è precisamente causata da questo errore, da questa pretesa di voler racchiudere tutto questo apparato normativo nella figura della Costituzione. Perché noi di una Costituzione stiamo parlando; è chiaro che poi in sede interpretativa si potrà fare riferimento ai lavori preparatori, si potrà invocare la storia della formazione del testo, se ne potrà denunciare l’ibridismo, ma poi alla fine un testo viene interpretato per quello che dice, non si potrà fare una selezione tra le norme, declassando quelle che hanno il carattere più minuzioso e invasivo. Crisi del costituzionalismo Questa è la prima questione. E la seconda è che proprio in questa leggerezza con cui è stata trattata questa materia da parte dell’establishment europeo che ha varato questa Costituzione e che ora la propone alla ratifica degli Stati membri, questa leggerezza per cui non è stato colto il senso grande che poteva avere questo momento costituente dell’Europa, mi pare sia il sintomo di una crisi più generale che è la crisi del costituzionalismo. Noi siamo oggi non solo in questa vicenda europea ma credo dappertutto, di fronte a una profonda crisi del costituzionalismo, perché dovunque stanno prevalendo delle costituzioni materiali che stanno sovvertendo le costituzioni formali, le costituzioni stabilite. Abbiamo un processo di decostituzionalizzazione che è in corso. La guerra perpetua, l’attacco all’ONU, la sua delegittimazione, la neutralizzazione delle grandi Convenzioni internazionali sui diritti, denunciano una grande crisi del costituzionalismo internazionale. Abbiamo una crisi del costituzionalismo in America: abbiamo tre diritti penali, un diritto penale per gli americani, un diritto penale per i non americani, un diritto penale per i terroristi o combattenti illegittimi, abbiamo la fine dell’habeas corpus, i due milioni e mezzo di detenuti nelle carceri americane, la stessa vicenda delle ultime elezioni presidenziali americane, che è stata sofferta come una rottura costituzionale da un testimone come Thomas Friedmann, il quale ha detto: credevo di andare a votare per un presidente, per un programma politico, mi sono reso conto che andavo a votare per una nuova Costituzione dell’America; sta cambiando la natura, sta cambiando l’identità dell’America. C’è poi la vicenda italiana, l’attacco alla magistratura, le leggi ad personam, il tentativo di tradurre nella riforma della seconda parte della Costituzione una costituzione materiale già in atto, con i poteri assoluti per il Primo Ministro, il Parlamento ridotto a niente, una maggioranza ricattata dal primo ministro, le opposizioni che non contano più nulla, i loro voti nemmeno verrebbero contati nelle votazioni di fiducia. C’è la delegittimazione dei giudici, l’ultimo esempio è l’attacco furibondo che è stato lanciato contro la giudice che ha cercato di identificare il reato di terrorismo, perché anche il reato di terrorismo deve avere una sua specificità non può essere una fattispecie onnicomprensiva di qualsiasi comportamento interpretato come minaccioso dal potere. Mentre in Italia, nella situazione internazionale, in America, accade tutto questo, la Costituzione europea si pone in questa sindrome di eclissi, di grave crisi del costituzionalismo, inteso in senso forte. Poi potranno anche esserci nuove Costituzioni che arrivino a sostituire le vecchie per formalizzare il degrado già avvenuto, sul piano dei rapporti politici, dei rapporti giuridici e dei diritti fondamentali; però credo che di questo si tratti. Questa crisi del costituzionalismo, a cui secondo me questa vicenda europea dà una grande spinta – e che poi in quanto crisi dei diritti interessa tutti i cittadini, tutti gli uomini – è la vera questione, che comporta poi anche la impossibilita di definire, come dice Prodi, una “visione” dell’Europa: non c’è una visione, non c’è una missione dell’Europa. Questa crisi del costituzionalismo vuol dire che si sta tornando indietro, non solo a un tempo precedente alla grande costruzione del costituzionalismo democratico del Novecento, ma si sta tornando addirittura ai primordi del diritto; si sta tornando a quando Eraclito diceva che “la guerra è comune a tutte le cose”, si sta tornando alla definizione di Trasimaco, nei dialoghi platonici della “Repubblica”, secondo cui “la giustizia consiste nell’utile del più forte”, si sta operando una regressione che va ben al di là di una controrivoluzione rispetto alle grandi conquiste del Novecento. Si stanno rimettendo in discussione i fondamenti di quelle che sono state le linee fondamentali dello sviluppo della civiltà del diritto. Questo è quello che fa paura e fa dire, di fronte alla Costituzione europea: sì noi, come giuristi, possiamo anche adattarci con le nostre giustificazioni, le nostre spiegazioni, i nostri possibilismi, ma il messaggio che arriva alle popolazioni europee, il messaggio che arriva al mondo in un momento come questo, è che un grande continente, una grande comunità di popoli arriva a concepire la propria unità, arriva a fondare una formazione politica nuova che non c’è mai stata nella storia, e in tale momento supremo si pone il problema di darsi una Costituzione: e che cosa produce? Produce questo coacervo di norme sulla concorrenza, sulla competizione, sul profitto, sulla circolazione delle merci, e lancia un messaggio di restaurazione, non un messaggio di dinamicità, di avanzamento, verso maggiori conquiste di diritti, maggiori conquiste di libertà, di integrazione feconda tra dimensione pubblica e dimensione privata. Questa credo che sia la vera critica, non tanto rispetto alle singole norme che qui sono contenute, ma soprattutto rispetto a questa pretesa, a questa veste con cui si presenta questo testo, come la identificazione dell’Europa, l’identificazione regressiva di un soggetto politico che dovrebbe invece giocare in questo secolo, in questo millennio, un ruolo di avanzamento, di libertà, di diritto e di pace. L’anima dell’Europa Non è vero infatti che questo ripiegamento, questa involuzione siano senza alternativa. Ciò che vorremmo veder riapparire è l’idea e l’anima dell’Europa, la cui vera eredità, come diceva il filosofo urbinate Italo Mancini, non sta nella letteratura, nell’arte o nella religione, che pure sono state grandi, ma sta nella civiltà del diritto, e nella giustizia come “gloria del diritto”. Questo è ciò che dovrebbe essere riproposto in una futura Costituzione europea, questo è il compito che all’Europa resta per il mondo. Nel preambolo di questa pseudo-costituzione l’Europa non è riuscita a parlare delle fedi che l’hanno attraversata, non per uno scrupolo di laicità, come sarebbe stato giusto, ma perché la sua fede si è trasferita su un “dio mortale”, che non è più, come agli albori della modernità, lo Stato, ma è il Mercato, a cui sono stati attribuiti quei caratteri di trascendenza, di onnipotenza, di provvidenza, di imperscrutabilità, di insindacabilità e di irresponsabilità che gli atei devoti ritengono propri di Dio. Solo attraverso una nuova operazione di laicità, deponendo dal trono questo dio mortale, si può tornare alla stagione dei diritti, si può fare una Costituzione non per i sovrani ma per l’Europa dei cittadini, come popolo tra i popoli.

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