Dormiva tranquillo, da mesi, nei cassetti del Ministero della giustizia. D’improvviso, grazie a due sentenze, quella del Tribunale di Milano sul “lodo Mondadori” e quella della Corte Costituzionale sul “lodo Alfano”, qualcuno s’è ricordato della sua esistenza. Dopo che si è provveduto ad opera di esponenti della maggioranza e dei media amici a riversare su quei due giudici ogni genere di sospetti e ingiurie, si è sviluppato un pubblico dibattito, con toni inevitabilmente accesi, che ha accompagnato le proposte esplicitamente formulate, senza troppa attenzione ai principi costituzionali, per tirare fuori rapidamente dai guai giudiziari il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Più silenziosamente, accanto all’opera dei guastatori, qualcuno da quei cassetti ha rispolverato un progetto di riforma del processo penale. Si tratta del disegno di legge n. 1440/09, presentato dal ministro della giustizia di concerto col ministro dell’economia e delle finanze, comunicato alla presidenza del Senato il 10 marzo 2009. La relazione al disegno afferma nell’introduzione che le misure proposte “sono finalizzate, da un lato, ad ampliare le garanzie del cittadino e a dare compiuta attuazione ai diritti di difesa, dall’altro a eliminare lacune e farraginosità del procedimento penale, rendendolo più razionale e spedito”. Un intento indubbiamente commendevole, soprattutto ove si tenga conto dell’attuale stato disastroso del processo che le prescrizioni brevi non contribuiranno di certo a sanare. Ma le cose stanno proprio così? Certo, sono previste alcune deleghe in materia di notificazioni e comunicazioni in via telematica e per la digitalizzazione del processo, finalizzate all’adozione di moderne tecnologie, o norme utili per semplificare qualche passaggio sconclusionato della procedura attuale, come quella che vuole escludere la notifica della conclusione delle indagini preliminari all’indagato che abbia ricevuto nel corso del procedimento l’informazione di cui all’articolo 369 del codice ovvero altro atto ad essa equipollente. Ma accanto a queste, ve ne sono forse altre, fra i 35 articoli del disegno governativo, che mirano a risultati ben diversi?