Nessuno credo possa negare che il decreto-legge n. 29 del 2010 (cosiddetto salva liste) è stato adottato in una situazione di forte tensione politica, che rischiava – e ancora rischia – di degenerare e uscire fuori controllo. Appare evidente, inoltre, che lo svolgimento di elezioni amministrative regionali che non veda la partecipazione di tutte le formazioni politiche, e in particolare non veda la lista espressione diretta del partito più votato a livello nazionale, rappresenta una lesione al diritto politico di elettorato attivo (non invece del tutto di quello passivo, come preciserò tra un attimo), e in sostanza si traduce in un più generale vulnus all’ordinamento democratico-rappresentativo. Mi sembra necessario però aggiungere che questa considerazione – spesso minacciosamente ripetuta – non può andare disgiunta dalla indicazione dei responsabili che hanno determinato questa situazione di fatto; di chi cioè ha prodotto la lesione lamentata o il vulnus denunciato. E questi sono certamente coloro che non hanno rispettato quanto è chiaramente scritto nelle leggi – sia statali sia regionali – circa il termine di presentazione delle liste. Per questo il diritto di elettorato passivo, in fondo, più che essere stato negato, è stato non esercitato; almeno per quella parte che spetta alle formazioni politiche, mentre per la parte che spetta ai singoli candidati è stato sì conculcato, ma dai delegati alla presentazione delle liste. Del che quest’ultimi dovrebbero rispondere in sede civile, oltre che politica.