Che il trattato di Nizza, entrato di recente in vigore, non risolva le questioni istituzionali aperte dall’allargamento dell’UE a nuovi Stati membri – in totale venticinque dal primo maggio 2004, suscettibili ancora di aumentare negli anni fino a circa una trentina – sembra essere convinzione anche del Praesidium della Convenzione sul futuro dell’Europa.
Come dichiarato, con il testo relativo alle Istituzioni di quel “progetto di trattato costituzionale” che nel frattempo ha assunto la denominazione di “Costituzione”, si è “andati oltre” Nizza. In merito alla ripartizione per Stato dei rappresentanti da eleggere in Parlamento europeo, a seguito della riduzione dei suoi membri. In ordine alla rideterminazione della “maggioranza qualificata” con cui, in base al progetto, il Consiglio dei ministri delibera. Quanto alla composizione della Commissione. Data la stretta connessione tra questi profili istituzionali il Praesidium ritiene che la nuova maggioranza qualificata debba essere applicata solo a partire dalle prossime elezioni delle istituzioni “sovranazionali”. A Nizza, infatti, si era con estrema difficoltà optato per una sorta di “doppia maggioranza ponderata”: si era proceduto a una riponderazione dei voti in Consiglio a favore degli Stati più popolosi e si era stabilito che la maggioranza qualificata dei voti dovesse rappresentare la metà o i due terzi degli Stati a seconda delle votazioni, con la facoltà per ogni Stato di chiedere la verifica che la soglia raggiunta rappresentasse anche il 62% della popolazione totale. L’art. 17ter del progetto, invece, definisce la maggioranza qualificata come voto della maggioranza degli Stati membri che rappresenti almeno i tre quinti della popolazione dell’Unione (60%) senza alcun riferimento alla ponderazione dei voti. Si è, quindi, inteso prediligere un calcolo di voto più sensibile alla pari dignità tra Stati tipica delle formazioni intergovernative e meno calibrato sulla popolazione rappresentata in quella sede dal singolo governo. In funzione di un possibile bilanciamento tra questi due elementi, sembrerebbe, invece, che siano state accolte le istanze che il PE aveva già presentato a Nizza per la ripartizione dei seggi parlamentari in un’Europa allargata. Il numero dei seggi torna ai 700 indicati dal trattato di Amsterdam dopo che a Nizza erano diventati 732 e verrebbero ripartiti in modo “regressivamente proporzionale con la fissazione di una soglia minima di quattro membri per Stato membro”, ipotesi che tende a una maggior coesione tra i popoli senza però ricomporli in un unico popolo.
La composizione della Commissione in un’Europa allargata era stata l’altra questione strettamente connessa alla riponderazione dei voti in Consiglio operata a Nizza per compensare la perdita del secondo commissario dei “grandi” Stati membri. La composizione della Commissione è anche, però, uno dei profili istituzionali sui quali il Praesidium della Convenzione ha modificato il progetto preparato dal presidente Valéry Giscard d’Estaing, fortemente criticato perché considerato troppo vicino alle posizioni dei “grandi” paesi dell’Ue. La versione del Praesidium aumenta a 15 (rispetto ai 13 della proposta Giscard) il numero dei commissari (ora sono 20) e vi affianca altri 15 «commissari delegati» (contro i 12 «consiglieri» indicati nel progetti di Giscard). Questi commissari delegati dovrebbero garantire a tutti i paesi di avere un loro connazionale nella Commissione (organo che dovrebbe rappresentare, comunque, “l’interesse generale europeo” e non quelli nazionali).
La proposta presentata da Giscard era volta, soprattutto, ad attribuire al Consiglio europeo la “decisione” del candidato alla presidenza della Commissione sul quale si sarebbe “espresso” il Parlamento a maggioranza dei tre quinti e estendeva al Consiglio europeo la possibilità di votare una mozione di censura alla Commissione. Il Praesidium ha corretto l’impostazione del Presidente, prevedendo che il presidente della Commissione sia “eletto dal Parlamento” e che sia riservato alla sola Assemblea il potere di votare la mozione di censura collettiva, sebbene il candidato alla presidenza sia comunque scelto dal Consiglio europeo. Il Presidente della Commissione, inoltre, “tenendo conto degli equilibri politici e geografici europei”, “designa” e non “seleziona” i commissari sulla base di un elenco di tre candidati, tra cui almeno una donna, redatto da ogni Stato membro. L’intero collegio sarà poi soggetto a un voto di approvazione da parte del Parlamento.
Il testo presentato dal Praesidium ha tenuto in conto le osservazioni della Commissione al progetto Giscard soprattutto decidendo di attribuirle, accanto a funzioni di coordinamento e gestione, la rivendicata funzione esecutiva che viene a sommarsi all’intaccato monopolio dell’iniziativa normativa. Sotto questo profilo, è stata delusa la legittima aspettativa di chi invocava l’introduzione del principio della divisione dei poteri e in particolare l’attribuzione della funzione “legislativa”, a partire dalla fase dell’iniziativa, alla Assemblea che, invece, continua a esercitarla “congiuntamente” al nuovo Consiglio “legislativo”, una sorta di seconda camera. Le formazioni del Consiglio, infatti, sono state drasticamente ridotte e distinte per funzione, più che per materie: “Affari generali”; “legislativo”; “Affari esteri”; “Affari economici e finanziari”; “Giustizia e sicurezza”.
Le principali innovazioni previste da Giscard d’Estaing sono state comunque mantenute e si caratterizzano per un rilancio del paradigma intergovernativo. In particolare, l’istituzione di un posto di Presidente «permanente» del Consiglio europeo, a tempo pieno, che dovrebbe restare in carica per due anni e mezzo rinnovabili una volta, supera il sistema attuale di presidenza a rotazione semestrale che protegge gli Stati membri “piccoli”. Il Presidente verrebbe eletto a maggioranza qualificata dal Consiglio tra i suoi componenti – e in questo caso scatterebbe l’incompatibilità con la carica nazionale – oppure tra i capi di stato o di governo che abbiano fatto parte del Consiglio per almeno due anni. Ma, se, secondo Giscard, tra le funzioni del Presidente rientrava la valutazione dei rapporti presentati dai presidenti dell’Ue o della Commissione, la preparazione di possibili revisioni del Trattato e l’elezione del presidente e vicepresidente dell’Ue, in base al testo del Praesidium, il presidente avrà soprattutto una posizione di mediatore: non avrà poteri di decisione e dovrà limitarsi a organizzare e a dirigere i Consigli europei, senza avere diritto di voto (17ter, 2).
E’ stata accolta anche l’idea di un Congresso dei popoli dell’Europa, ma è stata stralciata dalla bozza Giscard l’ipotesi che il Consiglio europeo potesse decidere all’unanimità di trasformarlo nel collegio elettorale per l’elezione del proprio presidente. Eliminato anche ogni riferimento alla funzione consultiva che avrebbe potuto svolgere, il Congresso sarebbe “l’istanza di incontro e di riflessione della vita pubblica europea”. Dovrebbe essere composto da 700 membri, per un terzo da componenti del parlamento europeo e per due terzi da deputati dei parlamenti nazionali.
Resta nel progetto licenziato dal Praesidium, inoltre, il Ministro degli Affari esteri: sarà il «volto e la voce» dell’Unione, ma dovranno essere ben chiarite le sue funzioni, soprattutto in rapporto a quelle del presidente a tempo pieno, per evitare uno sdoppiamento dell’Unione nel mondo (o addirittura una triplicazione, vista il rafforzamento del presidente della Commissione). Il Ministro sarebbe nominato dal Consiglio europeo con accordo del Presidente della Commissione della quale il ministro dovrebbe essere uno dei vicepresidenti anche se “attua” la politica estera comune “in qualità di mandatario del Consiglio”.
Sebbene, poi, la definizione del Consiglio europeo di “più alta autorità dell’Unione” che determina “l’indirizzo politico generale” sia stata ridimensionata, tale organo assurge al ruolo di istituzione stabile che “dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e definisce i suoi orientamenti e le sue priorità politiche generali”.
E’ stata abbandonata, invece, l’ipotesi di un vicepresidente proveniente da un «piccolo paese», con lo scopo di assicurare un «equilibrio» tra “grandi” e “piccoli” Stati nell’Unione, che avrebbe presieduto il Consiglio degli affari generali dell’Ue. Diventa una semplice “opzione” la creazione di un ufficio di coordinamento della presidenza di sette membri con il compito di «coordinare le posizioni all’interno del Consiglio» e di «preparare le riunioni». Non ne farebbero parte come avrebbe voluto Giscard, il presidente, il vicepresidente, il ministro degli esteri, i presidenti del Consiglio affari economici e del Consiglio giustizia, e due capi di governo degli stati membri a rotazione, ma “tre membri scelti secondo un sistema equo di rotazione” per evitare la formazione di un Consiglio ristretto.
Ma sarà questa la forma di governo che la Convenzione proporrà al Consiglio di Salonicco, il prossimo 20 giugno, per consentire la decisione definitiva sul trattato costituzionale?