1. Soggettivo … oggettivo. Sono queste le specificazioni che designano i due massimi denotati possibili del diritto positivo. Riflettono, in realtà, la condizione umana. Se è vero che la specie umana si segnala per la coscienza della propria esistenza acquisita dagli individui della specie mediante la consapevolezza dei propri bisogni, è dai primordi che, con ogni probabilità, fu avvertito il conflitto tra le pulsioni che emergono dalle sterminate e irripetibili individualità[1] e le ragioni imprescrittibili della specie. Da una parte, le istanze dei singoli che rivendicano libertà prima e poi anche autonomia, dall’altra, l’esigenza di riproduzione e di conservazione della specie che impone cooperazione. A cominciare da quelle iniziali tra i due generi di procreare e di procurarsi alimenti e difesa, perciò convivenza, socialità e, con esse, l’ordine e la sicurezza, individuale e di gruppo, sicurezza via via più ampia ed intensa per gruppi tendenzialmente più estesi. È da quando gli umani sono entrati nell’età del giuridico quindi che il “soggettivo”, avrà designato la pretesa di dedurre dalle norme motivi, argomenti per ottenere difesa, riconoscimento, incremento, lasciando all’”oggettivo” il significato di comando, obbligo, limite. Nel linguaggio dei giuristi però è dal XVIII secolo che i termini “soggettivo” ed “oggettivo” hanno indicato le due raffigurazioni apicali del giuridico. [2]